Il vero smart working in futuro sarà un mix attività a distanza ed in presenza, portando all’aumento della produttività del 25%.
In Italia ci sono potenzialmente 6,4 milioni di smart worker. Questi, per specifiche competenze e condizioni di lavoro, potrebbero svolgere tutte le loro attività fuori dal luogo di lavoro.
A questi si aggiungono 1,6 milioni di smart worker “ibridi”, i quali potrebbero alternare momenti di lavoro da remoto e in sede (o all’interno di un coworking) a seconda dell’esigenza.
Il lavoro a distanza che l’Italia ha scoperto in massa durante l’emergenza Covid19 ha un grande potenziale di sviluppo per tante professioni. In particolare chi ha competenze e mansioni idonee, ma che prima del lockdown faceva smart working solo in minima parte. Ad esempio professionisti ad alta specializzazione, dirigenti in genere, ma anche tecnici, impiegati e addetti ai servizi.
L’emergenza Covid-19 ha effettivamente comportato un balzo in avanti del lavoro svolto da casa. Sulla base dell’Indagine Istat sulle Forze di Lavoro è passato da 1,5 milioni di lavoratori nel primo trimestre 2020 a 4,1 milioni nel secondo trimestre.
Purtroppo in molti sono stati gettati nell’esperienza di remote working impreparati. Alle condizioni attuali, appaiono effettivamente in grado di operare in maniera “intelligente” non più di 3 milioni di lavoratori.
Una sfida – quella di rendere il lavoro realmente “smart” – che l’Italia deve affrontare al più presto. La consapevolezza è quella che il futuro del lavoro sarà necessariamente un mix tra attività a distanza e in presenza grazie al digitale. Integrarle al meglio porterà a spendere maggior tempo ad attività a valore aggiunto. Primo tra tutti l’importanza ai servizi personalizzati e il miglioramento nel contempo del clima di lavoro e rapporti con terzi.
Ecco i lavori in cui si può svolgere un mix tra smart working e attività in presenza
Solo una minoranza di professioni ha caratteristiche coerenti con lunghi periodi di lavoro da remoto, altre possono svolgerlo solo in parte.
Nel complesso, durante l’emergenza facevano smart working dirigenti e professioni ad elevata specializzazione, seguiti da addetti agli affari generali, contabili, procuratori legali e avvocati. E tra i potenziali smart workers “ibridi” ci sono soprattutto agenti di commercio, tecnici delle costruzioni, tecnici esperti in applicazioni e tecnici della gestione finanziaria, ma anche interpreti e traduttori, giornalisti, organizzatori di fiere e convegni.
Le competenze principali dello smart worker
Sono le competenze teoriche-astratte, più che quelle tecnico-scientifiche a correlarsi maggiormente con la possibilità di una professione di lavorare da casa: l’importanza della literacy, l’insieme delle competenze associate alla lettura, alla scrittura, alla comprensione di testi e all’espressione orale: capire in maniera critica, interpretare, avere un’intelligenza relazionale ed organizzativa sono componenti fondamentali per un corretto lavoro smart.
Cosa prevede la normativa
La normativa semplificata dello smart working introdotta nei mesi di lockdown, con la possibilità di svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza di accordi individuali e con il diritto temporaneo per alcune categorie (immunodepressi, disabili o familiari), ha permesso di ampliarne la platea, ma ha anche comportato l’allontanamento dallo spirito originario, in favore della tutela della salute pubblica.
Terminata la fase emergenziale, bisognerà valutare una revisione della disciplina. Lo smart working infatti prevede soprattutto un’organizzazione diversa del lavoro e una valutazione basata sui risultati, anziché tempo e presenza. E dovrà considerare anche tematiche come il diritto alla disconnessione, la tutela della salute e della sicurezza, il diritto alla privacy e alla riservatezza, le tutele contro i rischi da isolamento dei lavoratori.
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