Il 31 Marzo termina lo stato d’emergenza per la pandemia da Covid-19. Tuttavia, il Governo ha deciso di non cambiare le regole vigenti sullo Smart Working, prorogando la modalità semplificata fino al 30 giugno 2022.
La possibilità di ricorrere allo Smart Working nel settore privato senza l’accordo individuale tra datore e lavoratore, e quindi ancora con un regime semplificato, è dunque slittata al 1° luglio. Questo concede di fatto più tempo a imprese e lavoratori per il ritorno alla normalità.
Sarà poi obbligatorio stipulare un accordo individuale tra dipendente azienda, da inviare al Ministero del Lavoro.
Ma sai qual è la differenza tra smart working, remote working e south working?
Definizione di smart working
Lo smart working si basa sulla possibilità da parte del lavoratore di scegliere dove e quando lavorare, in assenza di forme rigide di controllo.
Una soluzione che, in assenza di vincoli spaziali, potrebbe convivere con il south working e con la decisione di molti lavoratori di spostarsi dalle città verso zone d’Italia considerate periferiche (paesi di montagna, campagne, piccoli borghi ecc.) e il sud, modificando la geografia del lavoro.
Prima dello scoppio dell’emergenza sanitaria, tale flessibilità è stata un fenomeno episodico che ha coinvolto poche aziende e pochi lavoratori. Per applicare lo smart working nel modo giusto ci vuole però organizzazione ed un cambiamento di mentalità.
L’adozione del remote working (da non confondere con lo smart working)
La situazione di emergenza sanitaria ha imposto l’adozione forzata del lavoro da remoto o remote working, necessario in maniera estensiva per permettere alla aziende di mantenere a pieno regime la propria attività e garantire il lavoro ai propri dipendenti.
Ciò ha richiesto un grande sforzo tecnologico, organizzativo e manageriale per implementare in tempi velocissimi il remote working (che è coinciso, nella maggior parte dei casi, con l’home working). A questa misura è seguita la gestione dei lavoratori che si sono trovati a svolgere il proprio lavoro a distanza, spesso per la prima volta.
È importante ribadire che il remote working estensivo e forzato sperimentato durante la pandemia non è il lavoro agile o smart working. Per esempio, secondo la legge 81/2017 il lavoro agile è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, mediante accordo tra le parti, che si svolge senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, e che presuppone l’uso di strumenti tecnologici per il suo svolgimento.
Cos’è lo smart working
Si tratta di una modalità che si fonda sia sulla dimensione spaziale («da ogni luogo»), sia su quella temporale («quando vuoi»). Questa può integrarsi con il lavoro tradizionale e/o sostituirsi a esso al fine di rispondere a esigenze di equilibro tra lavoro-tempo libero. Si fonda anche sull’idea che la presenza in ufficio e/o lavorare durante determinati orari non sia così fondamentale.
Lo smart working, quindi, per essere tale deve prevedere:
- una relazione con l’organizzazione basata sulla responsabilità in assenza di forme rigide di controllo;
- uno stile manageriale fondato sulla delega, la fiducia, l’autonomia;
- la gestione del lavoro per obiettivi e la programmazione delle attività secondo una logica di progetto;
- la manutenzione del clima e del senso di appartenenza attraverso momenti di scambio e di confronto nel gruppo di lavoro;
- momenti di dialogo tra il responsabile e i singoli lavoratori per comprendere i bisogni e orientare la crescita e lo sviluppo.
La cultura dello smart working, si basa dunque sulla possibilità di scegliere dove e quando lavorare, con responsabilità e nel rispetto sia delle esigenze dell’organizzazione sia del lavoratore.
Può prevedere sia l’alternanza tra i tempi e i luoghi, che la possibilità di definire singolarmente come organizzare la propria prestazione.
Parola d’ordine del south working: flessibilità
Uno dei pilastri dello smart working è la flessibilità nello spazio. Questo ha portato all’attenzione il fatto che un lavoratore possa decidere di lavorare dove preferisce (per esempio, da uno spazio di coworking), anche in un luogo lontano da quello dove ha sede l’organizzazione.
In particolare, si è iniziato a parlare, in Italia, di south working.
Durante la pandemia un numero non trascurabile di lavoratori in remote working più o meno obbligato ha deciso di trasferirsi temporaneamente nelle regioni del Sud Italia, vicino quindi alla propria famiglia di origine. Il south working sarebbe però possibile solo se le organizzazioni lasciassero ampia libertà e autonomia ai propri lavoratori nella scelta di dove e quando lavorare.
Un modello ibrido che imponga la presenza alcuni giorni alla settimana e/o al mese (limitando quindi la libertà e l’autonomia del lavoratore) invece, renderebbe il south working più complesso da organizzare e gestire.
È forse però sbagliato parlare solo di south working. La scelta dei lavoratori può infatti riguardare altri luoghi considerati periferici: i paesi di montagna o con un limitato accesso ai servizi, le campagne ecc. Ossia può riguardare tutto ciò che è stato considerato marginale fino a poco tempo fa.
Una vera e propria minaccia per le città globali che hanno fatto della capacità di attrarre questi lavoratori uno dei fattori del loro successo. Tuttavia, potrebbe potenzialmente rappresentare un’opportunità per tutte le altre città e/o zone che possono migliorare il loro capitale sociale.
In conclusione, tornare indietro di due anni sarebbe sicuramente un peccato.
Con ragionevolezza, la possibilità di un lavoro ibrido, in cui lavorare un paio di giorni in smart working, purché esso sia compatibile con la mansione affidata, rappresenta un’opportunità volta a rivoluzionare il mondo del lavoro.